aprii gli occhi ed eri lì rovente dalla rabbia. sudato ripieno della prima mattina a digiuno. nudo. con un dito puntato alle lenzuola. mi contenevamo. urlavi. e forse, anche, piangevi. piccole gocce di rimprovero e terrore. poi corsi via. in mezzo alla strada croata. ti rincorsi. giurandoti che sbagliavi. avrei potuto chiamarti – amore mio – ma non eravamo questo. sarebbe stato troppo facile. non potevo chiamarti se non aggiungendomi al tuo latrato. sembravamo due cani picchiati. che rimbalzano sulla stessa catena. violentati da mani diverse e da padroni uguali. ti eri lasciato influenzare da chi troppo alla svelta mi aveva nominato. ma poi si cadde, per caso, e si prese a ridere. mi riconoscevi. lì umiliata e bellissima, vergine te lo assicuro, ed intimamente tua. non come donna. ma come un bambino possiede l’aquilone. come una promessa fra sé ed il cielo. siamo stati creati mortali ma insieme siamo esseri divini.