Caro Sigmund Freud:
Mi ha condotto in un prato. Grondano farfalle. Intatte. Ma senza aria nelle ali. La gravità le schiaccia a terra. E loro restano immobili. Stupende. Molte bianche. Di un candore che brucia il fissarle.
Qualcuno ha delle forbici pesanti. Sulle punta arrugginite. I manici sono in ottone. Sembrano maniglie. Se mi volto appena mi guardo riflessa.
Piango. Perchè mi tagliano i miei adorati capelli. Li vedo scendere. E lasciarsi inghiottire dall’umido. Piango. Però non lo sento il rumore del pianto. E cosi apro qualsiasi cosa riesca ad aprire e sbraito il pianto per farmi sentire. Dai ragazzini. Al di là dello steccato. Niente. Presto sono afona. E rasata.
Resto in piedi fino l’alba. Adesso sola.
Con le ciocche rosse (tinte), erano tinte; ed aspetto.