“Samanta” dice “potevi scegliere un nome meno stupido di questo” sorrido credo e dico “è davvero il mio nome”. Imbarazzo. Attrazione. E dei nodi crespi che salgono. La storia d’amore più grande senza letto, lenzuola il giorno dopo vuote, drammi venduti alle compagnie telefoniche; senza senso di colpa, tradimento, ed ipocrisia. Tutto a galla come fu dal principio – la miseria ed il sublime – la competizione, il giudizio, la crudeltà anche. Ma tutto esposto, dichiarato, sulle guance bagnate è tutto lì e subito sempre segue l’abbraccio, il riconoscimento, il trampolino, e l’oceano. La laguna, per essere precisi ed ironici. E così benedico il giorno in cui ti ho incontrata amica mia e lascia che aggiunga una cosa. Siamo diventate grandi. L’atelier, il maestro, l’uomo del ponte, gli uomini per sfogare, la mia promessa, l’abito carillon, l’isola giungla, Pirandello ed il battesimo, le folliche, Smith, loro e gli altri, i capelli, Bergamo, Leporino e Luca, le nostre lettere ed adesso la bella Fenn. Che sciocca sono a perdere tempo, non potevo che indossare i tuoi occhi per muovere la bandiera. In un gesto, si riunisce la famiglia – la strana famiglia – in perenne viaggio, nomadismo e ricerca alla volta della bellezza quella scomoda che fa male alle spalle, alle gambe, al cuore ma che da qualche parte è uguale per tutti come il cielo.
Samanta Cinquini
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