Imparare il fare niente

è soave la tua piccola sbornia nel mezzo del pomeriggio. ti butti a terra per meglio sentire la musica venire dalle casse come potesse provenire dal labbro celeste. inquieta; balli sui salti nella piccola stanza e ti gira la testa. mi cadi fra le gambe e riposi. fai le smorfie di nascosto e ridi. istericamente. poi davvero. e poi con la tristezza sull’alone di vino, sigaretta e stomaco intorno la bocca. sei cosi fresca da assomigliare al mattino. ti guardo e scopro come stare a fare niente. e lo spazio ci distrae abilmente ma la nostra è una corrida a soffietto e di volta in volta sollevo il telo porpora per sfiorarti appena dove brilli e ti prepari alla battaglia.

Un morbido equilibrio

Ho sempre avuto paura dei corpi che si toccano. Perchè i corpi si toccano male. Anche quando vogliamo toccare lievi. In fondo ci sono degli uncini che afferranno e non vere e proprie carezze. Ho sempre avuto paura di fare del “new-age” nell’accezione negativa che associo al termine. Ho sempre avuto paura del mucchio, del pasticcio, della cosa non perfettamente integrata e rivelata. Ma poi accade qualcuno stia sul filo. Come te. Soltanto il suo filo è meno teso. Ha meno paura. E’ morbido. E le coccinelle lo usano come amaca. Ho sempre avuto paura di essere poco credibile. E poi accade di poter lasciar andare. Lasci cadere anche il confronto. E ti consegni nel gregge con la gioia di essere pecora bianca e di fare lana. Incontrare Maria Fux oggi, è stato un dono. Proprio perchè viene da terre lontane continenti rispetto le mie. Proprio perchè lei non ha paura. Ed è – lo sento – all’altro capo del filo. E forse inizio ad avere meno affanno.

Il tempo di una lacrima

Alla sorellanza. All’essere fatti vuoti. Al pianto che dura il tempo della guancia e poi diviene canto. Al poter essere inerme e subito dopo l’intero plotone. Alla meraviglia che perde sangue e bottoni. Gioia e pietà.