Cercasi mito nel quotidiano

credo che la nuova mitologia sia l’essere umano. fare ritorno ad Itaca è fare ritorno al vapore sul vetro – agli occhi bagnati – al sale che gronda sui denti – all’abbraccio che sfinisce e lascia solo le bocche aperte con il rossetto che sbava.

Difficoltá del gioco

a bandierina ero terrorizzata al suono del numero. correvo verso la mano con il corpo distrutto ed aperto alla già vittoria rivale. non ho mai saputo giocare con calma e gioia. eppure da grande; mi ritrovo insistente a cercare di tornare a quel punto.

Noi che abbiamo gli stessi mostri

Ti sei rotolata sul mio petto, a terra. Mi hai raccolto a ginocchia piegate sul grembo. Hai detto parole sottovoce, segrete e bagnate di rosa nell’angolo del giardino. Mi hai guardato per un tempo indeterminato. Hai saputo toccarmi quando l’aria era di troppo. Mi hai dato i baci di una madre, di un’amica, di un maestro. Hai chiamato lacrime di gioia, dolore e rivalsa. Tu. Mi sei entrata fino a perdere la ragione del senso. Lucido contro lucido – il ricordo di noi accanto con i medesimi mostri. É così. Ed è ingombrante come compromissione. Disumana e senza strumenti evidentemente di gestione.

Se vediamo lo stesso quasi-sogno

Sì tratta di tornare a quel gesto bianco del pettegolezzo nostrano. Fantastico. Credo in una nuova rinnovata tradizione orale data dall’urgenza di riconoscersi nell’assenza di senso. Nel gratuito senza soldo imprevisto guizzo che accade. Qui ed ora. Quando alle 4 del mattino si apre per caso, per noia, per insonnia o disperazione l’anta più vicina ed ecco si vede nella notte un’immagine prossima al sogno eppure di carne concreta fatta sul marciapiede di sotto. Domani lo racconterò al mio vicino e forse parró semplicemente con le occhiaie l’ennesimo contrattempo del miraggio. O forse lo avrà visto anche lui – ed allora sarà festa. Senza onomastico, etichetta o ricorrenza. Potremo giocare. Durerà poco. Ma quanto basta. E mi verrà voglia di guardare. Ancora. Con l’avvento sulle palpebre.