Adulta io nasco

Di norma non posto sul profilo personale immagini tratte dal progetto di pedagogia ed arte in corso. Il pesce d’Oro. Oggi, al rientro da una sessione presso il C32 performingartworkspace azzardo quest’eccezione. Non per la straordinarietà della fotografia. Sono immagini fotografiche scattate durante allenamenti vivi. Piuttosto per ringraziare. I miei maestri e la Maestra che mi ha accompagnato dove sono (e che è e sarà per sempre come Creatura ed Artista parte della mia vita), il mio mentore che mi ha aperto il cielo ed è tornato dopo anni a mostrarmi altre traiettorie ed a schiarire il buio, coloro al mio fianco che credono in me e combattono con me, ogni esperienza di segno e poesia incarnata, e quella piccola bambina vulnerabile con gli occhi strabici e le ossa da stambecco infortunato che sopravvive e lotta in nome della bellezza e dell’umano. Qui – affiora una giovane fanciulla stretta ad una giovane donna. Ringrazio le donne. E ringraziando le donne, ringrazio gli uomini. Che non hanno paura di affiorare. E chiedo alla mia guida interiore di tacere la perfezione. Di manifestarsi caotica, disordinata, imperfetta ed anche esagerata. Ma di manifestarsi. Di prendere in braccio quella bambina e sapere guardare quella bambina anche per le sue pezze belle di corpo e di anima. Senza presunzione. Senza umiltà. Con la povertà di chi ha fame, e s’affretta a cibarsi. Grazie al Pesce D’oro – che mi permette di provarci. Ad avere fame.

Senza redenzione?

Restare senza redenzione. Affidare al tocco, la memoria di un tempo illimitato. Fare luce per vedere il buio. Pazzi furiosi, poeti ed amanti della bellezza che non domanda colpe.

La contraddizione dei santi

Lei benedice con il fumogeno. No, vuole uccidere tutti. Dopo averli fatti santi. Lei ha lo stoppino sul polpastrello. Mangia il fuoco e cola cera sulle tende che coprono la montagna. A valle, il nascondino delle bambine beatificate. E dell’amante.

Al coro. Sul finire del mondo rosso polvere.

Per la prima volta mi troverò costretta a ricordare. La macchina fotografica è rimasta a Bergamo, con il boato e le rose. Allora scopro di essere anche io, un poco assuefatta. Dal segno. Dal segnato. Di non aver spazio per dimenticare. Sento quel principio d’ansia. E poi una voce. Due. Fino sette voci. E quattordici gessetti. Il grande mondo entra con una faccia sporca di rosso polvere. Eccoci. C’è tutto. Per un racconto che duri altre mille notti. Meravigliose e buie.

Ma sedendo e mirando…

Ho paura di toccare la bellezza. Di toccarla. Ho paura del suo fare prorompente ed acerbo. Allora resto, al suo fianco, senza chiedere niente. Aspetto si faccia grande. E mi tocchi Lei, la bellezza, perché chiede l’intera stanza … perché mi chiede di lasciare andare gli occhi e stare. Semplicemente stare.