Attraversati dal quotidiano

e vorrei poter provare il lusso della noia – meglio del vuoto – quella sensazione che deve dare il deserto. in quel luogo dove solo le funzioni vitali ti riportano all’ordine del tempo – altrimenti sei come l’aria – e ti attraversa ogni cosa – diventi mezzo, veicolo di bontà. e sei semplicemente quel che serve nient’altro.

Da dove vengo

Mi hai scoperto nella pancia e così senza esitare benché ci fosse molto vento mi hai portato fino alle rose. Mi hai cresciuto con il burro, l’acqua santa ed il copriletto profumato. Le tende all’uncinetto, i quadri delle madri col traforo, i calzini stirati. Hai scelto la casa, il tempo, il sudore e la legna per il fuoco. Io non potevo guardare ogni cosa. Contenere il sacrificio, il dono, l’insegnamento, la fede, le celebrazioni, le ostie, la pazienza e quel segno della croce sulla porta. Diverse. E così vicine. Adesso ho gli occhi per vedere e vedo l’origine. Comune, pesante, folle, l’utopia delle donne coraggio. Delle donne ultime. Delle scelte superstiti. Delle donne che amano senza ragione. E ti sono grata. Mamma. Perché sei bellissima in maniera faticosa. E sei un altare in offerta. E sei le parti migliori di me e delle mie rivoluzioni. Tanti auguri mamma.

La festa del mare

“e l’uomo, e la donna arrivarono a riempire le ceste di latta con il sale ed il bagno. Non facevano rumore sopra gli zoccoli. Pareva la festa dello schiavo eccitato. Si diano ai fuochi le chiavi del cielo. Sia il sonno del pescatore l’urlo del soldato. abbiate cura – compaesani – delle ghirlande, essiccate l’achirante. Bambino, tu! accampa l’asino vicino al luogo della vasca poichè possa riposare l’esodo dei sognatori. lasciate entrare al galoppo le nostre mani rosse. non fate domande – ed avvicinatevi a guardare l’immenso. non si gettino monete. niente desideri. tacete le preghiere. andate a chiamare gli ultimi e preparate l’unguento. sulla spugna il crine si farà d’oro. avrete memoria di questo giorno come il primo della memoria di Afrodite”

Pulite nella guerriglia

noi donne. lasciamo la canzone, la letteratura, la poesia, le deposizioni in tribunale, i tarocchi, la madre, il silenzio, persino il carnefice ci venga a dire che noi donne possiamo essere libere; perchè la libertà non è più il voto, l’eguaglianza, la partecipazione, la gerarchia. quella; certo a tratti con il sangue; ma l’abbiamo ottenuta. perchè accade fuori da noi. la libertà che costa la vita (ancora oggi) non si trova fuori da noi. ma dentro. noi donne. siamo come la croce vuota che non conta i vinti, oppure i vincitori – parla con l’alto e chiede perdono. in attesa qualche mano ci ponga altrove. per ricominciare a credere, fallire; e tornare ad aver fede. a noi si fa appello. a noi si fa testamento. a noi si fa pentimento. a noi si fa giuramento. a noi quella costola è andata di traverso. a noi il peccato della mela non è stato chiesto. a noi – pulite nella guerriglia. non è femminismo care. è un inno, un inno a noi donne. perchè intimamente, profondamente, ed in forma quanto più identitaria si possa guardare il sacro peso, il profano dono del femminile.