Tu mi innalzi
Io sono Eva e sono la donna vestita di sole dell’Apocalisse. Io sono Caino e sono Maddalena. Io con te sono il terzo ed il quarto segno.
Io sono Eva e sono la donna vestita di sole dell’Apocalisse. Io sono Caino e sono Maddalena. Io con te sono il terzo ed il quarto segno.
Qualche parola all’infanzia. Oggi mi reco a Chiuduno per fotografare il matrimonio di Aurora Finazzi e sale tutto sul gozzo il ricordo fradicio di lacrime. Siamo state il musical del paese. Lei la più bella, la più corteggiata ed ambita. Abitava dietro casa mia, in prossimità del cimitero. Io – la più sfigata della scuola con gli occhiali rosa, le trecce lunghe ed i maglioncini ricamati (quando ancora non ne puoi apprezzare la tessitura). Ed eravamo inseparabili. La mia migliore amica. Lei mi ricordava continuamente che andavo bene così. Esattamente diversa dagli altri. A lei devo la possibilità. A lei devo il peso della differenza – ma un peso fatto di piume, giochi in cortile e confidenze. Poi gli anni trascorrono e dal musical si passa alla favola o forse all’archetipo. Ed oggi è diverso. Non mi nascondo più durante l’intervallo – ma anzi scaravento una sedia al centro della stanza e vi ci salgo per guardare qualcosa accadere lontano. Siamo sempre la conseguenza. Ed io devo parte della mia bellezza ad Aurora.
l’uomo giovane ogniqualvolta apriva la bocca si sentiva come un carillon. erano i mostri della seconda serata. quelli buoni vestiti di paglia luminosa e che profumavano di tabaccherie. li guardavo invidiosa mentre salivo sull’utimo bus, per tornare a casa. loro potevano avere l’intera città. e suonavano sempre di musica. non facevano paura, anzi – ti spingevano a tenere la finestra un poco più aperta. e gli occhi leggeri.
Come si trattasse tutto, di un enorme gioco in giardino. Quando si prepara lo spettacolo per gli zii che vengono da fuori. Allora si prendono le lenzuola e si appendono ai pali. Ciascuno collabora come può. Anche il giardiniere ha previsto il gioco ed ha piantato mesi addietro dei fiori pronti freschi alla sbocciatura. Non sono un burattinaio. Non sono nemmeno una regista. Sono la privilegiata che vede. Il mio maestro, in teatro, mi ha chiamato Tiresia. E mi tengo stretto questo nome di vittoria e fallimento.
Ho iniziato a scrivere, ad amare lo scrivere, alle medie. Avevo gli occhiali rosa, il cerotto, i vestiti a fiori. Ero strana. E spesso presa in giro. Ma nell’intervallo a volte qualcuno si avvicinava al mio banco e mi chiedeva di scrivere per lui una lettera d’amore. Allora lasciavo che “Matteo” parlasse in modo goffo di “Sara” e lo osservavo attentamente. Annotavo. E poi scrivevo. E Matteo metteva nella tasca il suo trofeo. E Matteo per qualche settimana smetteva di prendermi in giro. Anzi, mi sorrideva. Mentre accumulavo lettere d’amore dei miei compagni, io imparavo a vedere oltre le cattive parole ed i gesti di bullismo. Sapevo di essere volontariamente un capro espiatorio ma allo stesso tempo una sorta di principe cantastorie. Tutto quello che scrivo è biografia. Mia. O di altri. Perchè non c’è poesia più grande che quella in corso. Anche quella che fa male.